Apocalisse dei robot nel mercato del lavoro —?potenziali scenari
Luca Sorgiacomo
5.0 Technologies for growth | Digital Transformation Expert | Founder @ Progress Lab
Cosa succederà quando i robot sostituiranno più del 50% della manodopera in termini di ore lavorative?
Ieri sera, poco prima delle nove, ricevo un vocale da parte di un imprenditore. Era stato così gentile da leggere i primi capitoli del libro che sto scrivendo sulla #Industria50 e l'innovazione digitale nelle imprese manifatturiere.
La sua domanda mi stimola parecchi pensieri.
Sto per rispondere direttamente su whatsapp, ma mi accorgo subito che ci sarebbe voluto più di qualche messaggio per farlo appropriatamente.
Tanti si sono posti e si pongono questa domanda. Ci vuole una risposta pesata, penso. Meglio così, con un articolo, da leggere con calma, con tempo per approfondire.
Quindi cominciamo.
Il cambiamento radicale
Ci sono almeno due "lenti" con cui leggere questo possibile scenario futuro. La prima è quella che prende la previsione come un fatto: 50% della manodopera verrà sostituita dai robot. Cosa succederà dopo?
Il risultato potrebbe essere un impatto simile a quello della prima rivoluzione industriale: un grande cambiamento non solo nel tessuto produttivo, ma anche in quello sociale.
Ci sarà una fetta di popolazione che non sarà in grado o non vorrà adattarsi imparando nuove competenze. Questa parte di popolo potrà soffrire del cambiamento e protesterà, con potenziali frange estremiste tipo i Ludditi della prima rivoluzione industriale (quelli che andavano a distruggere i telai meccanici).
Complessivamente tuttavia potrebbe esserci un tale aumento di produttività che i benefici potrebbero ricadere anche su di loro tramite sussidi e minori tasse, se la politica si comporta bene. In caso contrario il capitale sarà ulteriormente concentrato, come quindi la ricchezza e il benessere e si potrebbe vedere un ritorno a forme di lotta di classe in stile Marxista.
Salvo derive autoritaristiche della politica quindi, mi aspetto che le fasce di popolazione che ne avranno uno svantaggio netto saranno limitate.
Questo perché non stiamo parlando di un gioco a somma zero.
è interessante infatti vedere nel dettaglio la domanda iniziale, che cita una statistica riferita alle "ore lavorative". Anche se i robot arriveranno a fornire lavoro per il 50% delle ore svolte dalle persone quest'oggi, non significa che in futuro la quantità di ore totali lavorate (robot + persone) rimanga la stessa.
Le aziende che innovano i processi con successo tendono a crescere richiedendo quindi un maggior volume di risorse in input. Con buona probabilità, la domanda di quella fetta di lavoro passerà dalla manodopera diretta a quella indiretta, nello specifico la progettazione, il controllo, l'analisi e manutenzione dei processi robotizzati, mansioni che saranno in grande domanda come recentemente lo è diventata quella del programmatore.
Pertanto non va dato per scontato che la domanda di manodopera "umana" diminuisca, anche se quella dei robot aumenta significativamente.
Nella prima rivoluzione industriale inoltre, il cambiamento ha portato alla concentrazione delle risorse produttive, dando il via al processo di #urbanizzazione. In questo caso mi aspetto un processo opposto: l'automazione e la digitalizzazione permetteranno di lavorare sempre più da remoto portando a un certo livellamento della popolazione, limitato ma comunque significativo, verso aree a minore densità.
In questo senso la robotizzazione porterà a un miglioramento complessivo e non sarà certo un qualcosa a cui guardare con timore.
Piuttosto, il problema maggiore lo avranno non tanto i lavoratori dei paesi che innovano, ma quelli dei paesi che, non volendo o riuscendo innovare per via delle resistenze interne, rimangono indietro in termini di produttività e quindi di competitività, perdendo fatturato, con ricadute sui posti di lavoro e sui redditi.
Paradossalmente, il danno maggiore sarà dove l'automazione sarà inferiore.
L'evoluzione fisiologica
Esiste però un altra potenziale lettura: l'automazione dei processi fisici porta inevitabilmente a un irrigidimento degli stessi.
Questo non perché i robot non possano essere flessibili, ma perché progettare un sistema robotizzato efficace ed efficiente è DIFFICILE e COSTOSO. Quindi gli umani che lo progettano tendono a limitarlo a casi con due caratteristiche:
Inoltre cambiare un processo automatizzato è più difficile che cambiare un processo manuale. Faccio un esempio banale: pensiamo a un robot che posiziona dei biscotti su un vassoio in 5 file da 10. Quanto tempo ci vuole con un robot a cambiare il processo facendo invece 10 file da 5? Cambia la programmazione, assicurati che il posizionamento dei vassoi vuoti venga modificato stabilmente, ferma la linea per fare i test...Con un umano basta dirglielo, in fondo si tratta solo di girare il vassoio.
In un economia che spinge verso la flessibilità e la personalizzazione questo è un limite molto forte. Non sono quindi convinto che i robot diventeranno così ubiqui come si crede. L'automazione aumenterà dove il valore aggiunto della manodopera non è solo sostituibile, ma lo è facilmente. Non è sempre così. Soprattutto in Italia.
Di base credo che gran parte dei processi facilmente automatizzabili siano già stati impattati in qualche misura. Quelli che avanzano sono quelli che richiedono un po' di intelligenza.
Scommetto che qui si pensa subito all'intelligenza artificiale. Vero, ma per farlo bisogna saper modellare almeno le variabili in gioco, lasciando poi agli algoritmi il compito di definire implicitamente il rapporto tra le variabili.
Sappiamo tutti che soltanto definire quali sono queste variabili è un compito estremamente arduo. Basti pensare alla paura che hanno le aziende di perdere il loro personale storico perché in decenni non sono mai state in grado di formalizzarne la competenza. Oltre a ciò, garantisco che sviluppare un'intelligenza artificiale di qualità industriale è MOLTO più difficile che semplicemente scrivere delle regole/istruzioni su carta. Per non parlare poi del volume di dati necessario ad addestrare i modelli di apprendimento, che in molti contesti industriali specialistici semplicemente non è raggiungibile.
Ritengo quindi che l'intelligenza artificiale per l'automazione dei processi abbia un ritorno di investimento interessante solo per prodotti/processi altamente standardizzati dove il contributo umano è minimo, ovvero dove l'unico compito delle persone sia quello di eseguire istruzioni sempre uguali e fissate con largo anticipo. In altri contesti non dico che l'IA sia impossibile, ma altamente antieconomica, il che mi fa credere che non prenderà piede tanto quanto alcuni pensano.
Dove l'IA potrà davvero prendere piede? In quei settori dove è il dato a farla da padrone: il settore finanziario e assicurativo, nel settore della cybersecurity, l'elaborazione dei documenti (es. data entry), la guida autonoma, il biomedicale, l'intrattenimento digitale, l'interazione uomo-macchina etc. Sono settori altamente critici in cui la delega delle decisioni a un software è questione non solo tecnicamente, ma anche eticamente complicata. Ma è in questi settori che ne vedremo il maggior utilizzo.
Tornando quindi alla domanda iniziale, questa lettura critica delle profezie di robotizzazione porta a una conclusione più dinamica, che è quella a cui aderisco.
Non stiamo parlando di un invasione improvvisa dei robot, ma di un processo che accadrà fisiologicamente in parallelo al cambiamento delle abitudini della società nel corso degli anni.
Rimane il fatto che i paesi che innoveranno più lentamente ne subiranno un danno economico, ma probabilmente proprio a causa di una più lenta adozione di queste nuove tecnologie legata a resistenze interne.
In conclusione, la paura non è mai una buona consigliera. La domanda giusta non dovrebbe essere se l'automazione e la digitalizzazione siano buone o meno, ma come sfruttarle al meglio per il beneficio non solo di singole imprese, ma della società nel suo complesso, in una vera ottica di Industria 5.0.
Un grazie di cuore a Antonio MICCOLI per lo spunto.
L'anteprima dei primi capitoli del libro è disponibile, se qualcuno fosse interessato a leggerli è sufficiente contattarmi e vi manderò un link. Ogni feedback è benvenuto.
Socio e fondatore di Optimum Consilium, imprenditore e manager, MBA executive, entusiasta delle relazioni e della gestione della complessità
2 年Caro Luca, come sempre la tua capacità di approfondimento e di ragionamento é molto apprezzata! Col tuo articolo hai aperto altre porte del ragionamento su un tema che non ha chiaramente una risposta definitiva! Grazie a questo tuo scritto, mio compito ora è di aprire altre porte ancora! Quindi, in base a quello che hai scritto, potremmo dividere in 2 ipoteticamente il mondo del business (ed in parte è proprio così): - strategia di differenziazione - strategia di costo A tuo dire, e concordo, le aziende che si trovano in mercati maturi e che adottano quindi una strategia di costo (prodotti standard, margini bassi, grandi lotti), godono spesso di processi più facilmente automatizzabili dalla IA e robotizzabili... Tenendo per buono questo assunto la successiva domanda per arricchire la conversazione è: Come si dividono le ore lavorate globalmente tra le due strategie? Quante ore lavorate in imprese con strategie di costo? Quante in imprese con strategie di differenziazione? Non occorre avere un dato preciso, ma pensiamo ai risvolti sociali e agli impatti della robotizzazione, la domanda torna ad essere: Cosa succederà quando una grande parte (50% è un buon numero) delle ore lavorate, lo saranno dai robot? Ancora complimenti!